Uso indebito di carta di credito: il consenso dell’avente diritto non opera come esimente ex art. 50 c.p.

  • Home
  • Articoli
  • Uso indebito di carta di credito: il consenso dell’avente diritto non opera come esimente ex art. 50 c.p.

La II sezione penale della Suprema Corte, con la recente sentenza n. 18609 del 16.02.2021 – dep. 12.05.2021 – n. 18609, torna a pronunciarsi sul rapporto sussistente tra il consenso dell’avente diritto e la configurabilità dei reati plurioffensivi.

Si tratta di una pronuncia di palese rilievo ed attualità, soprattutto in considerazione delle ripercussioni che può avere tale forma di consenso in tutte le tipologie di acquisti, anche online.

E ciò in quanto la sentenza in commento, pur non avendo ad oggetto un acquisto effettuato attraverso mezzi informatici, fissa dei principi di diritto applicabile ad ogni possibile uso della carta di credito e ai limiti del consenso.

Come è noto, l’art. 50 c.p. introduce una causa di giustificazione “generale”, prevedendo che “Non è punibile chi lede o pone in pericolo un diritto col consenso della persona che può validamente disporne”.

Ai fini della sussistenza dell’esimente, ovviamente, è necessario che il consenso:

– riguardi un diritto disponibile;

– sia stato validamente prestato dal titolare;

– sia sussistente al momento del fatto.

Pertanto, si tratta di un vaglio che dovrà essere effettuato tanto “in astratto”, con riferimento al reato contestato, al fine di poter verificare se si tratta di un diritto “disponibile”, per il quale il consenso può essere validamente prestato, quanto “in concreto”, con specifico riferimento al caso di specie.

Tale vaglio, diventa ancora più complesso quando riguarda i cd. “reati plurioffensivi”, come nel caso trattato dalla Corte di legittimità, nella sentenza in commento, che ha dovuto decidere in seguito ad una reformatio in peius della Corte di Appello su appello del Pubblico Ministero.

Nella sentenza di riforma della Corte territoriale è stato individuato come punctum dolens della pronuncia assolutoria del giudice di prime cure, la valutazione fornita sul consenso dell’avente diritto il quale, avendo dei debiti nei confronti dell’imputato, gli ha consegnato il proprio bancomat affinché prelevasse quanto dovuto.

L’imputato (in concorso con un altro soggetto) ha, invece, effettuato una serie di rapidi pagamenti presso distributori di benzina, riempiendo, in piena notte, delle taniche e superando l’importo oggetto del debito.

Secondo il giudice di prime cure, al di là della lieve sproporzione degli importi, la condotta degli imputati doveva essere ritenuta non punibile alla luce della consegna materiale del bancomat da parte della persona offesa.

La Corte di Appello ha, invece, accolto l’appello della Procura evidenziando che per le modalità di utilizzo della carta di credito della persona offesa dovesse escludersi il consenso dell’avente diritto, conseguentemente affermando la responsabilità dell’imputato.

La Corte di Cassazione, nel rigettare il ricorso incentrato anche sulla violazione della lettera e) dell’art. 606 c.p.p. con riferimento all’esimente dell’art. 50 c.p., ha preso in considerazione la validità del consenso dell’avente diritto sia sotto un profilo astratto, che nel caso concreto.

Sotto il primo profilo, la Corte, riprendendo la giurisprudenza in tema di reati contro la pubblica amministrazione e nei delitti di falso, ha sancito un generale principio di irrilevanza del consenso ai fini dell’esimente di cui all’art. 50 c.p., nei reati plurioffensivi, come nel caso dell’art. 493-ter c.p..

In particolare, nella motivazione la Suprema Corte ha evidenziato che “La corretta lettura della norma incriminatrice prevista dal D.Lgs. n. 231 del 2007, art. 55, comma 9 oggi trasfusa nell’art. 493 ter c.p., porta a escludere l’operatività dell’istituto del consenso dell’avente diritto ex art. 50 c.p., rispetto all’uso da parte di terzi dello strumento di pagamento o prelievo, quand’anche in qualche misura delegati dal titolare della carta di credito. La causa di giustificazione disciplinata dall’art. 50 c.p., infatti, richiede che il bene giuridico protetto dalla norma incriminatrice rientri nella categoria dei diritti disponibili, rispetto ai quali il titolare del diritto sia in grado di rinunziarvi; diversamente, se si verte in ipotesi di diritti che proteggono beni di interesse collettivo, la causa di giustificazione non potrà operare.”.

Con specifico riferimento al delitto di uso indebito di carta di credito, la Corte ha specificato che la ratio della norma in parola è la tutela non solo del patrimonio personale del titolare dello strumento di pagamento o prelievo, ma anche degli interessi pubblici alla sicurezza delle transazioni commerciali e alla fiducia nell’utilizzazione da parte dei consociati di quegli strumenti.

Per tali motivi, la Corte, richiamando anche la giurisprudenza costituzionale (cfr. Corte Cost., n. 302 del 19/7/2000) ha evidenziato che la norma incriminatrice mira, in positivo, a presidiare il regolare e sicuro svolgimento dell’attività finanziaria attraverso mezzi sostitutivi del contante con la conseguenza che “è giocoforza ritenere che le condotte da essa represse assumano – come del resto riconosciuto anche dalla giurisprudenza di legittimità in sede di analisi dei rapporti tra la fattispecie criminosa in questione ed i reati di truffa e di ricettazione – una dimensione lesiva che comunque trascende il mero patrimonio individuale, per estendersi, in modo più o meno diretto, a valori riconducibili agli ambiti categoriali dell’ordine pubblico o economico, che dir si voglia, e della fede pubblica” (Corte Cost. cit.)”.

Sotto il profilo del singolo caso di specie, la Corte ha da un lato avallato le considerazioni della Corte di Appello, ma ha comunque ritenuto doveroso sottolineare che, nonostante in forza del principio di diritto appena esaminato debba essere esclusa, generalmente, l’applicabilità dell’esimente di cui all’art. 50 c.p. nei reati plurioffensivi, è comunque necessario procedere all’esame del caso di specie, anche al fine di non estendere oltremisura la portata punitiva di determinate norme.

Ciononostante, in considerazione della portata plurioffensiva del reato, sarà necessario un esame molto più approfondito della volontà dell’avente diritto e dei suoi confini nel caso di specie.

In tal senso, la Corte di legittimità ha correttamente evidenziato che “Se pur non può ignorarsi che l’utilizzo degli strumenti elettronici di pagamento o di prelievo effettuato da persona diversa dal titolare possa costituire evento non infrequente (quando per ragioni di impedimento momentaneo – dovuto a particolari condizioni di fragilità, disabilità, ovvero a ragioni di salute – il titolare non sia in grado di utilizzare lo strumento di pagamento, pur avendone necessità), è necessario che l’eventuale autorizzazione costituisca lo strumento per la realizzazione esclusiva dell’interesse del titolare della carta di credito; in altri termini, l’autorizzazione assumerà rilevanza solo nelle ipotesi in cui sia apprezzabile in modo manifesto (attraverso la dimostrazione dei rapporti esistenti tra le parti e delle circostanze in cui sia intervenuta tale autorizzazione) che il terzo utilizzatore dello strumento di pagamento o di prelievo di denaro agisce solo nell’interesse del titolare, eseguendo materialmente le operazioni consentite con l’uso della carta di credito, su disposizione del titolare legittimo (come già affermato da Sez. 2, n. 17453 del 22/02/2019, Pautasso, Rv. 276422)”.

Il testo integrale della motivazione è consultabile a questo link.

Share:
My Agile Privacy
Questo sito utilizza cookies indispensabili per il suo funzionamento. Cliccando Accetta, autorizzi l'uso di tutti i cookies.
Attenzione: alcune funzionalità di questa pagina potrebbero essere bloccate a seguito delle tue scelte privacy